Mi sono innamorata di Anne Holt. In senso letterario, intendo. Anzi, per essere precisi, mi sono innamorata della sua coppia di detective, Johanne Vik e Yngvar Stubø. No, non per il genere noir, per la trama poliziesca… Dell’intreccio con finale a sorpresa mi importa poco o nulla. Cioè, tutto carino, ma nulla di eccezionale. E comunque non sono una giallista-inside.
A me piace la storia d’amore tra i due protagonisti, così normale, così quotidiana. Nel mio rinnovato e recentemente riscoperto spirito romantico sono molto più propensa ad apprezzare le ordinarie tenerezze anziché le gesta epiche e spettacolari di eroi improbabili. Così ben vengano le ginocchia sfiorate dei due personaggi mentre esaminano dei documenti importanti, oppure la scena in cui, sempre loro due, discutono del profilo dell’assassino mentre lei gli taglia – troppo corti – i capelli. Un cult, secondo la sottoscritta. Forse perché “l’impresa eccezionale è essere normali”, come cantava qualcuno, tempo fa. Io apprezzo l’eccezionalità di riuscire a sopportarsi vicendevolmente per come si è.
Attualmente in Italia sono usciti i primi tre libri di Vik e Stubø. So per certo che ne esistono altri due, non ancora tradotti in italiano, e presumibilmente la vicenda evolverà ancora. Non ho idea di come l’autrice abbia intenzione di portarla avanti, ma sinceramente spero che i protagonisti non incappino nell’ennesimo divorzio, prima o poi. Giuro, non lo sopporterei. Spero con tutte le mie forze che Johanne e Yngvar rimangano l’emblema di un rapporto riuscito, e se non vivranno per sempre felici e contenti, per lo meno che siano insieme e, nonostante tutto, innamorati.
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