sabato 22 febbraio 2014


 

 
 
 
 
I gemelli

di Elena G. Santoro


- Perché te ne stai lì imbambolato? Muoviti, dai! – mi urla Luca, e io penso che


stavolta abbiamo fatto un vero casino.

Siamo proprio nei guai fino al collo.

- Su, avanti, dobbiamo andarcene di qua. Scappiamo prima che ci becchino!

Scappiamo, certo. È quello che stiamo facendo. Abbiamo appena incendiato la

biblioteca della scuola, nel locale le fiamme si stanno sprigionando, forse è meglio

darsi una mossa. Luca mi prende per un braccio:

- Dai, Ste’. Se ci beccano siamo nella merda! – mi incita Luca.

Devo solo scavalcare il muro di cinta da cui siamo entrati. Questa bravata ce la siamo

preparata bene da quando Ale ha scoperto che si poteva entrare nel cortile da un

punto in cui la recinzione era stata lesionata, e dopo che Ruggero, detto Ruggito, è

riuscito a rubare le chiavi ad Augusto, il bidello disabile che sta in portineria. A quel

punto l’idea a Luca è venuta da sé. E naturalmente io mi sono fatto coinvolgere,

perché non ho mai saputo dire di no a Luca, da quando siamo nati. Luca è il mio

fratello gemello. Siamo identici, due gocce d’acqua. Stessi capelli biondi, stessi occhi

azzurri. Stessa età, sedici anni, anche se lui è nato quattro minuti prima di me. La

gente ci confonde sempre, anche le ragazze. Così non posso affermare con sicurezza

che la tipa con cui sono uscito l’anno scorso per un mese volesse proprio me, oppure

Luca, che obiettivamente è sempre stato più spigliato e più estroverso. Il dubbio mi è

venuto quella volta che ci stavamo baciando e lei mi ha sussurrato:

- Luca, cioè, volevo dire, Stefano…

Così ci siamo lasciati. Non posso certo dire che la mia vita sentimentale sia stata molto

ricca, finora. A parte quell’altra parentesi, quando sono uscito con Marina, la nostra

compagna di classe con i capelli rossicci e gli occhiali. Quella muore dietro a Luca

dalla prima, e ora siamo alla fine della seconda. Ma Luca la sfotte sempre. La prende

in giro perché è una secchiona. Così una volta le ha dato appuntamento e poi ha

mandato me al suo posto. Voleva sapere che effetto faceva, ma senza starci per

davvero. E poi voleva riderci sopra insieme agli altri: Ale e Ruggito, che pendono dalle

sue labbra ogni volta che fa una battuta. Solo che Marina se n’è accorta. Come mi ha

visto arrivare da lontano, mi ha detto:

- Stefano, perché sei venuto tu, anziché tuo fratello?

Allora ho dovuto spiegarle che lui non poteva. Non me la sono sentita di fingere. Non

si meritava una tale bastardata. E tanto, comunque, mi aveva scoperto. Forse lei è

l’unica che ci riconosce. Non so da cosa l’abbia capito che ero io e non lui. Mi ero

fatto persino la riga dei capelli dalla sua parte. Il look poi è lo stesso. Stessi abiti, stesso

stile. Luca, quando gli ho detto di come era andata con Marina, non era contento. Ma

non si è neppure arrabbiato. Sa che gli voglio bene, che gli sono molto legato. Siamo

in classe insieme dai tempi dell’asilo. La mamma non ci ha mai voluto separare, anche

se le hanno detto che “didatticamente non era corretto”. Per questo sono vicino a

Luca, e in genere lo seguo in tutte le sue imprese. Lui è sempre stato pieno di buone

idee, molto fantasiose.

Solo che questa volta abbiamo esagerato. Nonostante tutte le nostre precauzioni, ci

hanno sgamato subito. Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso tutte le nostre

gesta, dalla prima all’ultima. Così ora noi quattro gloriosi eroi ce ne stiamo tutti in

presidenza, al cospetto del dirigente scolastico e dei nostri genitori. Papà è scuro in

volto. Per evitare una denuncia, le alternative sono due: pagamento di tutti i danni, ore

di lavoro al servizio della scuola e sospensione per una settimana. Oppure pagamento

dei danni e ritiro immediato dal liceo.

Quando usciamo, i nostri compagni sono nei corridoi e ci osservano increduli. C’è

anche Marina che mi lancia uno sguardo deluso, e lo lancia a me, non a Luca, ed io

vorrei sprofondare.

A cena Luca piagnucola:

- Papà, ritiraci! Se dobbiamo metterci a lavorare perdiamo l’anno. Tanto i nostri

voti sono così bassi, in ogni caso non recupereremmo più.

Quando deve intortarsi papà, Luca è tutto fuorché sborone: è un gran ruffiano.

Nostro padre non è fiero di noi in questo momento, e sicuramente ci castigherà, ma

sa anche lui che una bocciatura è peggio che un ritiro, sul curriculum. E sa pure che i

nostri voti non sono affatto buoni. Alla fine del primo quadrimestre avevamo

entrambi quattro materie sotto. Quindi papà accontenterà Luca.

Se non che, io non sono d’accordo. Poso la forchetta e dico:

- Luca, ritirati pure tu, se vuoi. Io accetto la sospensione e le ore di lavoro extra.

Voglio mettermi sotto e studiare, voglio essere promosso.

Luca mi lancia un’occhiata feroce, un misto di disapprovazione completa e curiosità.

La mia uscita non era proprio prevista.

- Cazzo dici, Ste’?

Papà mi osserva con interesse:

- Sei davvero sicuro, Stefano?

Io penso che voglio bene a Luca. Lo ammiro molto, per certi versi. Ma io non avrei

mai incendiato la scuola, di mia iniziativa. E forse la mia vita sarebbe diversa se mi

assumessi le mie responsabilità, qualche volta. Se devo pagare, voglio che sia per le

cavolate che faccio di mia volontà, non per le sue.

- Sì, - confermo.

E adesso, dopo tre mesi bestiali, in cui ho studiato come un dannato per recuperare le

insufficienze e prestato servizio tre pomeriggi alla settimana come aiuto del bidello

disabile Augusto, sto aspettando che i cancelli del liceo aprano per vedere i voti

esposti.

Marina è qui e mi tiene la mano. È la mia ragazza adesso, e so che mi apprezza per

come sono. Luca, dopo il ritiro, è stato spedito a lavare auto dal benzinaio vicino a

casa, e ora medita di riscriversi in seconda a settembre.

- Comunque vada, sono fiera di te! – mi dice Marina, stampandomi un bacio

sulla guancia.

E io sono fiero di lei per tutte le sere che mi ha dedicato aiutandomi a studiare e a

recuperare un voto dopo l’altro.

Si spalancano i cancelli. Non ho il coraggio di guardare. Matematica era ancora incerta.

Apro gli occhi e ho un tuffo al cuore: Promosso!

© Copyright Elena G. Santoro febbraio 2014

Costosa bellezza


Ieri, a due giorni dalla chiusura, mi sono finalmente tolta lo sfizio e il gusto di visitare la mostra su Renoir alla GAM di Torino. Sarà che mi piace Renoir, sarà che lo ritengo una figura positiva nel panorama della pittura, uno di quelli che hanno passato l’esistenza a ritrarre facce sorridenti, fiori colorati e paesaggi rilassanti anziché urli angoscianti e volti verdi di rabbia, ma aver vagato per due ore tra quelle quattro stanze zeppe dei suoi quadri mi ha ritemprato lo spirito. Aggiungo che vedere finalmente dal vivo delle opere che conoscevo sottoforma di stampe appese alle pareti di casa dei miei è stato emozionante. Scoprire che queste erano grandi dieci volte tanto le riproduzioni casalinghe e che io non ne avevo idea è stato stupefacente.

Trascorrere del tempo circondata da un concentrato di bellezza è piacevole e fa stare bene. Ci vuole la bellezza, per tirarci su il morale in questi tempi di crisi. Però, come mi fa acutamente notare mia zia, sintomo di questa povertà dilagante è proprio la privazione della bellezza, è il dover fare a meno principalmente della soddisfazione estetica.

Prova ne sia che il costo di questa mostra è stato a dir poco proibitivo. 13,50 euro il prezzo base del biglietto intero, per chi come me non è più studente e non ha ancora 65 anni. Avendo scelto poi di acquistare il biglietto online, a questo già significativo prezzo si sono aggiunte ulteriori tasse, compresa quella per poter stampare il biglietto stesso da casa. Insomma, alla fine ho speso 17,50 euro per una mostra intensa, interessante, acculturante, ma, diciamolo, visitabile in poco più di un’ora. E anche quelli che avevano l’abbonamento ai musei, e che quindi in teoria dovevano entrare gratis, mi spiegava una signora in bagno, hanno comunque dovuto spendere 5 o 6 euro a testa per le tasse del biglietto online.

Evidentemente se hanno fissato questi prezzi se lo potevano permettere. Sapevano che gli interessati che non si sarebbero fatti comunque pregare erano molti. Infatti, di avere acquistato online non sono pentita, perché quelli che non lo avevano fatto sono ancora lì a fare la coda adesso, mentre io sono passata subito. Per lo meno, alle ore 14. Quando sono uscita la coda dei senza biglietto arrivava fino a corso Vittorio, per chi è pratico di Torino, e anche il gruppo di chi aveva comprato online era abbastanza accalcato. Dunque l’afflusso è stato alto, e da un canto, menomale. La gente, nonostante la miseria, nonostante la non democratica diffusione della cultura, tenta ugualmente di sfruttare le sempre meno numerose opportunità culturali che vengono promosse a Torino di questi tempi grami. Qualche anno fa, tra Palazzo Bricherasio e Palazzo Cavour, le mostre d’arte erano una dietro l’altra. E avere l’abbonamento ai musei era conveniente, perché con cinque o sei mostre uno se l’era abbondantemente ripagato. Ora invece non ho trovato più titoli che mi sfiziassero, dunque, addio anche all’abbonamento.

Alla GAM, ieri, prima di far entrare nuovi visitatori, contavano quelli che uscivano.  Dovrei dire che mi sento in colpa (anche se questo dettaglio del conteggio l’ho scoperto solo dopo) perché prima di andarmene dalla mostra ho contemplato certi dipinti per mezze ore, ho lasciato che le mie opere preferite mi impressionassero la retina a fondo. Ma d’altronde, dovevo pure ottimizzare la cifra spesa…

© Copyright Elena G. Santoro Febbraio 2014

giovedì 20 febbraio 2014

Non posso vivere senza Facebook


Di ritorno dalla mia millesima trasferta di lavoro sono rientrata con l’influenza. Febbriciattola, un quintale di nausea, lo stomaco sottosopra, non vi dico il volo di ritorno. Era un mercoledì ed ero talmente sfatta e demotivata che mi sono detta: non ho voglia di fare niente, voglio solo starmene nel letto, per i fatti miei, a leggere e dormire. Non voglio nemmeno aprire Facebook fino a domenica!

E in effetti, il giorno dopo, il giovedì, così è stato. Ma al venerdì, che già stavo meglio, mi sono detta: magari una sbirciatina, poi torno fuori dal mondo. Ho aperto e trovato la richiesta di amicizia di un transessuale brasiliano, con tanto di mail che esordiva con: “Ciao Caro”. Ho immediatamente richiuso e mi sono rintanata nuovamente nel mio guscio casalingo, fiera della mia decisione.

Però, quando ho sbirciato nuovamente, in uno dei gruppi di cui faccio parte è comparsa la notizia della morte di una signora che conoscevo. Premetto che questo gruppo di Facebook è la ricomposizione “virtuale” di una comunità assolutamente reale, di cui facevo parte anni fa e che Facebook ha aiutato a ricostituire.

E che dire della giornalista che mi contattava per un’intervista sul mio nuovo libro?

E quindi mi sono arresa, e mi sono connessa di nuovo, perché in realtà non c’è separazione tra vita reale e vita virtuale, quando le persone con cui sei collegato su Facebook sono le stesse che ami, o le stesse con cui lavori. In fondo il motto di Facebook era: “ti aiuta a restare in contatto con le persone della tua vita”. Beh, direi che ha mantenuto la promessa.
 
Il che non significa non stare attenti alle truffe... :-)

© Copyright Elena G. Santoro Febbraio 2014

Un errore di gioventù

Un errore di gioventù
Futura è incinta per la seconda volta e a Patrick sembra che il loro mondo sia perfetto, ma una notizia dal passato potrebbe scombinare tutto. Patrick infatti viene contattato da una sua ex, Arlene, che gli confessa di avere una figlia quasi adolescente, che potrebbe essere sua. Lui però non ha il coraggio di rivelarlo alla moglie.

L'occasione di una vita

L'occasione di una vita
Tre donne, tre occasioni per cambiare la propria vita. A Londra Futura rimane inaspettatamente incinta, ma Patrick inizialmente non è disposto ad accettare l'idea di diventare padre. Tra i due conviventi scende a lungo il gelo, finché il ragazzo, intenerito dall'ecografia del piccolo, decide di rivedere le proprie posizioni. Non fa in tempo però a manifestare le sue intenzioni che Futura perde il bambino e in conseguenza di ciò decide di allontanarsi, non essendosi sentita sufficientemente amata e capita durante la pur breve gestazione. A Torino Massimo e Ljuda, sposati e con due bambini, si dividono tra lavori part-time e la gestione della Casa di Accoglienza, struttura che si occupa di ospitare donne vittime di violenza che tentano di rimettere insiemi i cocci della loro vita. Ljuda però non è felice, le pesa la perenne carenza di soldi e decide, senza il benestare del marito, di partecipare al Reality più famoso d'Italia, dove è stata scritturata come concorrente, per dare una svolta alla sua esistenza.

Perché ne sono innamorata

Perché ne sono innamorata
Quanti modi ci sono per innamorarsi? E quanti per esprimere l’amore? Come inizia una storia duratura? La sognatrice Manuela, l’introversa e concreta Futura, la tenace Ljuda e la rassegnata Martina sono alle prese, rispettivamente, ma non sempre biunivocamente, con un promesso sposo altrui e inaffidabile, un ragazzo affascinante ma affetto da una patologia genetica, un seminarista e un fidanzato arrogante e violento. Impareranno, a loro spese, a discernere le relazioni sane da quelle malate.

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Sono nata a Torino nel 1975 dove ancora risiedo e lavoro. Ho pubblicato qualche romanzo e ogni tanto condivido sul blog i miei pensieri.