Quest’anno, per festeggiare il primo maggio, avevo in mente
di dedicare un pezzo alla deprimente situazione lavorativa in Italia,
argomento abusato, in verità, di questi
tempi. Volevo puntare il dito contro la mentalità sempre più dilagante che il
lavoro bisogna meritarselo e che pur di portare a casa due soldi si deve
sottostare a qualunque tipo di sopruso lesivo della dignità umana. Ciò che
trovo deprimente, anzi, davvero osceno, è che nonostante sia evidente (ai miei
occhi, almeno) che le voragini nel bilancio create da mafia, spese della casta,
spese militari e, soprattutto, dalla spirale posta in essere dall’implosione
del mercato finanziario, non saranno mai sanabili raschiando il fondo del
barile con tagli sulla sanità e sulle pensioni, la gente non si ribella. Ci
siamo quasi convinti che siamo tenuti tutti a sacrificarci per la causa della
crisi, ma non è così, e certi discorsi non mi piacciono. Io ho sempre pagato le
tasse, e mantenuto uno stile di vita sobrio, per cui non mi sento in colpa se
l’Italia va a pallini e non riesco ad autoflagellarmi allegramente pensando che
sia giusto degradare la vita lavorativa (mia e di tutti gli altri), e accettare
qualunque condizione perché è già grazie se ci fanno ancora lavorare. Ma come
tutti cerco di stare a galla, per cui mi adeguo e osservo con sconforto e
solidarietà tutti i commercianti che per santificare la festa del lavoro oggi
tengono aperto.
Così, per festeggiare degnamente questo giorno, e qualcuno
mi spiegherà che cosa c’è da festeggiare quest’anno, ho letto un libro appena uscito
in libreria, dal titolo “Aria Precaria”, di Sara Root. Si tratta di un romanzo
autobiografico che racconta le peripezie tragicomiche di una ragazza alla
soglia dei trent’anni la quale zompa da uno stage all’altro, da un incarico
deprimente a una proposta di lavoro indecente, in un’atmosfera che ha quasi del
surreale e a tratti sembra persino incredibile.
L’autrice ha una lievità nel pennellare con poche parole
semplici le situazioni complesse, riesce a dire tutto senza essere ridondante,
e questa è sicuramente una dote.
Nonostante l’ironia con cui scrive, e che indubbiamente caratterizza il
suo stile, però, il libro non fa sganasciare dal ridere, e non lo definirei “da
ombrellone”. È invece un fantastico
libro di denuncia, nonostante le mentite spoglie di libro leggero. In certi
passaggi, è persino angosciante, è ben più tragico che comico, per ciò che
descrive, nonostante lo stile.
Certo il mondo in cui la protagonista si è imbattuta può
avere del surreale, ma purtroppo si tratta della nuda realtà. Forse la
differenza tra lei ed altre persone è che nel suo essere una ragazza “tutta
d’un pezzo”, con dei principi e un’integrità, e soprattutto una dignità, ha
mantenuto a lungo la capacità di scandalizzarsi per tutto ciò che le accadeva.
Altre persone, al contrario, se la sarebbero fatta passare senza avere, come lei,
l’abilità di leggere, nella stessa sequenza allucinata di eventi umilianti e
deprimenti, un chiaro segnale di schizofrenia della società profondamente
ingiusta e insensata in cui viviamo e che lei descrive molto bene.
Comunque, giudicando che la nostra società ha un rapporto deviato
con l’idea del lavoro, non ho difficoltà a credere a tutto ciò che l’autrice ha
scritto e ad augurare ad “Aria Precaria” di diventare un caso editoriale.
Leggetelo. Per festeggiare.
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