Per la festa della mamma, domenica, mio suocero,
volenteroso, mi ha regalato una composizione di piantine di gusti: un origano,
una melissa e un timo al limone, da tenere sul balcone.
Poveretto, lui non perde la speranza, ma non riesco a fargli capire
che in capo a una settimana, massimo due, le sue tenere piantine saranno belle
che morte.
Mio suocero non ha giardino, ma sul suo balcone ha veramente
di tutto: ogni genere di esemplare della flora nostrana lui ce l’ha. Dategli un
bulbo e vi tirerà su la foresta amazzonica.
Se a me regalano un vegetale qualunque, invece, è certo che
farà un’orrenda fine.
Non posso dire che sia un difetto genetico, il mio. Mia
nonna era una contadina che ha sempre tenuto un orto meraviglioso, e mio padre
ha continuato e continua gloriosamente la tradizione. Io invece, pecoraccia
nera della famiglia, vanto una serie ormai poderosa di fallimenti agricoli di
genere vario.
Il mio esordio a tre anni quando, tra le urla della mia
suddetta nonna, strappai tutti i finocchi piantati nel suo favoloso orto.
All’attivo vanto una serie di piantine da balcone accoppate
nel giro di breve (i nomi non li ricordo, ma erano tante e di tutte le specie).
Nella top ten una meravigliosa azalea rossa, uccisa una decina di anni fa in tempo record. Il mio
traguardo più recente coinvolge una costosissima orchidea (Oddio, ma perché buttate
tutti questi soldi con me?), salvata in extremis da una mia amica, che ora me
la vorrebbe restituire, ma io mi oppongo strenuamente, per il bene del povero
esemplare.
E dire che sono circondata da persone che curano le piante
come fossero figlie. Le mie tre colleghe, per esempio, sono tutte molto
impegnate in tutto ciò che è giardino. Sulle loro scrivanie crescono rigogliose
delle creature verdi di tutto rispetto. Sulla mia scrivania il deserto. Per un
po’ ho tenuto una composizione di fiori finti, poi era troppo deprimente. E
dove le mie colleghe non arrivano, ci pensa il vicino d’ufficio, un signore
molto simpatico che sa tutto, ma veramente tutto, di tre argomenti: gli elastomeri,
gli insetti, e la flora di qualsivoglia natura. (Uno di quelli che se ti invita
a casa sua per mostrarti le farfalle, ti mostra le farfalle).
Con me, nulla da fare. Proprio non mi entra in testa. Eppure il verde mi piace. Io amo la natura, ma non fatemela gestire.
Tuttavia, ogni regola ha le sue eccezioni. Il mio pollice nero
nulla ha potuto contro tre fedelissime che nonostante le mie cure riescono a
sopravvivermi ormai da anni (per cui, se moriranno, potrò dire che sarà stata
morte naturale):
1.
Un filodendro ricevuto dai colleghi per il mio
matrimonio. (Sarà simbolo di un matrimonio che funziona?)
2.
Un cactus spinoso e brutto come la fame regalatomi dal mio ex (anche
qui mi domando se l’inconscio c’entri qualcosa, se qualcuno ha qualche teoria
psicanalitica si faccia avanti).
3.
Una umile pianta di MISERIA, che in questi tempi
grami è l’emblema di tutto. L’avevo vinta ad un banco di beneficenza al mare,
e, lasciando l’albergo, me la stavo scordano. Tre paesi oltre, ho urlato a mio
marito: - Ferma la macchina! Torniamo indietro! Ho dimenticato la pianta!
Quella deve averlo capito, sentito a modo suo, e non mi ha
più mollata. Ora la mia MISERIA cresce rigogliosa sul mio davanzale. Sta bene.
Ogni tanto la poto un po’.
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