Girando in rete ho
notato un certo pregiudizio verso gli scrittori esordienti. C’è chi non li
legge per principio, perché traumatizzato da esperienze precedenti. C’è chi
pensa che tutti gli esordienti scrivano assolute porcate. Se poi si sono
autopubblicati, peggio ancora. Sicuramente l’autopubblicazione è diretta conseguenza del rifiuto di tutti
gli editori dell’universo mondo, quindi un indubbio ripiego.
Non è proprio così, molti esordienti si autopubblicano per scelta, magari dopo aver appena rescisso in malo modo un contratto con un (piccolo) editore che non li ha soddisfatti al momento della promozione.
Non è proprio così, molti esordienti si autopubblicano per scelta, magari dopo aver appena rescisso in malo modo un contratto con un (piccolo) editore che non li ha soddisfatti al momento della promozione.
Comunque sia.
C’è una cosa in
cui noi esordienti siamo effettivamente penalizzati. Continuo a usare la parola
“esordienti”, ma è sbagliata, perché ormai, al quarto titolo pubblicato, l’esordio
è già avvenuto, seppure non col botto. E chi come me ha già buttato giù una
dozzina di manoscritti non si può più definire alla prima esperienza, in fatto di
scrittura, anche se la più parte dei libri magari sta ancora beatamente a
ronfare nel cassetto.
E non voglio
nemmeno usare la parola “emergenti”, termine che allude a una falsa speranza, perché
la più parte di noi non emergerà mai.
Meglio allora
parlare di “scrittori low cost”, vi spiego perché.
Gli scrittori low
cost sono quelli come me, che possono contare solo sulle loro forze, perché
autopubblicati o pubblicati da piccole case editrici, che rifiutano a priori di
effettuare editing pesanti per via dei costi elevati che ciò richiederebbe.
Gli scrittori low
cost, se sono seri, scrivono solo cose che già conoscono. Non ambientano una
storia in Cina se non sono mai stati in nessuno stato dell’Asia. E se non possono permettersi un viaggio, appunto, in Cina.
Gli scrittori low
cost, se non conoscono alcuni dettagli di ciò che vorrebbero raccontare, fanno
prima un giro su internet per capirci qualcosa dell’emofilia, poi chiedono alla
cugina medico i dettagli di un’emorragia cerebrale in paziente emofiliaco, poi
scrivono al carcere dell’Alabama per avere ragguagli sulle modalità di visita
ai detenuti, poi scrivono all’ospedale di Dublino per avere alcune informazioni
sull’accesso dei pazienti. E poi pregano che la cugina, il carcere dell’Alabama
e l’ospedale di Dublino rispondano. Due su tre in media lo fanno.
Gli scrittori low
cost hanno una madre insegnante che corregge loro tutti i refusi e le
espressioni dialettali.
Ma soprattutto,
gli scrittori low cost hanno, se sono fortunati, un altro lavoro che non è la
scrittura e che, alla peggio, permette loro di campare, ma non certo di
investire in ricerche costose oppure in editing seri.
Quindi, quando la
piccola casa editrice di turno giudica il loro testo gradevole e pubblicabile,
gli ingenui scrittori low cost se ne vanno pateticamente in giro per il mondo
felici e contenti a reclamizzare il piccolo capolavoro che pensano di avere
scritto, per poi farsi stroncare dalla critica e dalla massa dei lettori di
Amazon.
In questo gli
scrittori che hanno pubblicato con una grande CE (Casa Editrice) sono
avvantaggiati, perché su un unico testo ci lavorano almeno due persone, autore
e n+1 editors, e quando un lavoro viene fatto in squadra, ovviamente riesce
meglio, più completo, più articolato, più strutturato. È appena normale. È uno
dei primi principi appresi al corso di gestione del processo edilizio al
Politecnico: dove c’è più controllo c’è più sicurezza. Non è un caso che gli
aerei abbiano più motori e almeno due piloti.
Scrivo queste
cose non per svalutare le piccole CE che non effettuano editing pesanti (non
potendoselo permettere) e nemmeno per sminuire il merito degli autori delle
grandi CE, che sono supportati da uno staff, ma solo per far capire a chi legge
che anche dietro il libro di un autore non famoso c’è uno sforzo, anche se poi
il risultato può essere meno riuscito.
Ma è poi meno
riuscito? Questo è il dubbio amletico.
Bazzicando su
Facebook ho trovato estremamente istruttivo il gruppo: “Sto leggendo questo
libro…”, gruppo frequentato da più di 23 mila utenti che si divertono a
condividere i titoli dei libri che leggono e a commentare e criticare le scelte
altrui.
Bene, questo
gruppo per me è stato istruttivo per due sostanziali motivi.
1.
Ogni
libro, scritto anche da autori famosi, viene da qualcuno elogiato, da quanlcun altro massacrato
ferocemente. Per quanti editors ci possano aver messo su le mani, ci sarà
sempre qualcuno che troverà delle pecche nella trama, nella forma, nel
contenuto, nello stile. Quindi, con tutti gli editors del mondo che cercheranno
di porgere un’opera nel modo più appetitoso possibile al pubblico dei lettori,
i gusti resteranno sempre gusti.
Io stessa ho ricevuto, per i miei libri, critiche ed elogi che si
annullavano completamente a vicenda.
2.
La
morale più amara di tutto ciò è che in un gruppo come “Sto leggendo questo
libro…” appare evidente che l’amore per la lettura più che unire divide. C’è gente
che si scanna a difendere la propria opinabilissima idea, in nome di non si sa
che cosa. Faccio parte di un altro gruppo numeroso su Facebook: Celiaci &
Alcoliaci. Sono tutti molto simpatici e ci si dà consigli a vicenda su come
sopravvivere in un mondo pieno di glutine. Perché un problema come la celiachia
unisce e annulla la competizione: celiaci contro il mondo! Invece i libri
separano. Perché gli utenti del gruppo li massacrano proprio tutti, salvo i
classici-classici che sono intoccabili, e che forse oggi sarebbero giudicati
impubblicabili, ma nessuno osa dirlo per timore di sembrare ignorante. Perché c’è
un pregiudizio contro gli esordienti, ma anche, al contrario, verso i classici.
p.s. L'immagine pubblicata è puramente esemplificativa delle discussioni tipiche su "Sto leggendo questo libro..." Non è mia intenzione esprimere alcun giudizio sul libro nella foto, che peraltro non ho letto.
Copyright Elena Genero Santoro Settembre 2014 - All rights reserved
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