Ieri, a due giorni dalla chiusura, mi sono finalmente tolta
lo sfizio e il gusto di visitare la mostra su Renoir alla GAM di Torino. Sarà
che mi piace Renoir, sarà che lo ritengo una figura positiva nel panorama della
pittura, uno di quelli che hanno passato l’esistenza a ritrarre facce
sorridenti, fiori colorati e paesaggi rilassanti anziché urli angoscianti e
volti verdi di rabbia, ma aver vagato per due ore tra quelle quattro stanze
zeppe dei suoi quadri mi ha ritemprato lo spirito. Aggiungo che vedere
finalmente dal vivo delle opere che conoscevo sottoforma di stampe appese alle
pareti di casa dei miei è stato emozionante. Scoprire che queste erano grandi
dieci volte tanto le riproduzioni casalinghe e che io non ne avevo idea è stato
stupefacente.
Trascorrere del tempo circondata da un concentrato di
bellezza è piacevole e fa stare bene. Ci vuole la bellezza, per tirarci su il
morale in questi tempi di crisi. Però, come mi fa acutamente notare mia zia, sintomo
di questa povertà dilagante è proprio la privazione della bellezza, è il dover fare
a meno principalmente della soddisfazione estetica.
Prova ne sia che il costo di questa mostra è stato a dir poco
proibitivo. 13,50 euro il prezzo base del biglietto intero, per chi come me non
è più studente e non ha ancora 65 anni. Avendo scelto poi di acquistare il
biglietto online, a questo già significativo prezzo si sono aggiunte ulteriori
tasse, compresa quella per poter stampare il biglietto stesso da casa. Insomma,
alla fine ho speso 17,50 euro per una mostra intensa, interessante,
acculturante, ma, diciamolo, visitabile in poco più di un’ora. E anche quelli
che avevano l’abbonamento ai musei, e che quindi in teoria dovevano entrare
gratis, mi spiegava una signora in bagno, hanno comunque dovuto spendere 5 o 6
euro a testa per le tasse del biglietto online.
Evidentemente se hanno fissato questi prezzi se lo potevano
permettere. Sapevano che gli interessati che non si sarebbero fatti comunque pregare
erano molti. Infatti, di avere acquistato online non sono pentita, perché
quelli che non lo avevano fatto sono ancora lì a fare la coda adesso, mentre io
sono passata subito. Per lo meno, alle ore 14. Quando sono uscita la coda dei
senza biglietto arrivava fino a corso Vittorio, per chi è pratico di Torino, e
anche il gruppo di chi aveva comprato online era abbastanza accalcato. Dunque l’afflusso
è stato alto, e da un canto, menomale. La gente, nonostante la miseria, nonostante
la non democratica diffusione della cultura, tenta ugualmente di sfruttare le
sempre meno numerose opportunità culturali che vengono promosse a Torino di
questi tempi grami. Qualche anno fa, tra Palazzo Bricherasio e Palazzo Cavour,
le mostre d’arte erano una dietro l’altra. E avere l’abbonamento ai musei era
conveniente, perché con cinque o sei mostre uno se l’era abbondantemente
ripagato. Ora invece non ho trovato più titoli che mi sfiziassero, dunque,
addio anche all’abbonamento.
Alla GAM, ieri, prima di far entrare nuovi visitatori,
contavano quelli che uscivano. Dovrei
dire che mi sento in colpa (anche se questo dettaglio del conteggio l’ho
scoperto solo dopo) perché prima di andarmene dalla mostra ho contemplato certi
dipinti per mezze ore, ho lasciato che le mie opere preferite mi
impressionassero la retina a fondo. Ma d’altronde, dovevo pure ottimizzare la
cifra spesa…
© Copyright Elena G. Santoro Febbraio 2014
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