Il momento tanto temuto è arrivato. La mia adorabile bimba treenne, la Principessa Pucci-Pooh , come la chiamiamo noi, la mia dolcissima frugoletta-bocca-di-rosa se ne va fiera per la casa proclamando con voce sonante la sua prima vera parolaccia, un non propriamente natalizio: “Fanc***!!”, di cui ignora il significato, lasciando basiti me e suo padre. Primo dubbio: dove l’ha sentito? Scatta l’esame di coscienza, mio marito mi sibila, socchiudendo gli occhi: “Tu a volte dici parolacce”. Io penso e ripenso e ammetto che qualcosa ogni tanto mi scappa, ma quella parola, proprio quella, non fa parte della mia top five e neanche della mia top ten. Io dico altro, di solito si tratta del meno nobile sinonimo di “cacca” quando combino qualche casino, per esempio quando mi brucio un dito in cucina o cose di questo tipo.
Comunque il problema rimane: l’innocente creatura, percependo il nostro imbarazzo, si diverte ancora di più a pronunciare con somma soddisfazione la sua nuova conquista lessicale.
Io ringhio contro mio marito: “Fai finta di nulla, se capisce che non deve dirlo è finita!”. Ma la nostra Pucci-Pooh ci raggiunge ridendo e continua ad esclamare trionfante: “Fanc***, fanc***, fanc***!”.
Mio marito a quel punto ha un’ideona: “No, tesoro, hai capito male, la parola era ‘cubo’”, e inizia a spiegarle cosa significa “fare un cubo”, dopo avere rispolverato il vecchio gioco di Rubik.
Lei lo guarda, comincia a ripetere diligentemente: “Fare cubo”. Lo asseconda per un po’. Poi riattacca. Si vede che quella parola nuova ha davvero un bel suono.
Per ora il problema non è risolto. Abbiamo comunque deciso di non darle peso né soddisfazione e attendere che si stufi da sola. Prevedo disastri diplomatici con i parenti per il giorno di Natale.